Intervista a Rossana Cesaretti (Roxy Deva)
di Rosa Manauzzi
L’intento del lavoro di Rossana Cesaretti, in arte Roxy Deva, è rendere l’osservatore cosciente, sia concettualmente, sia tecnicamente, del movimento e dell’instabilità delle cose che sono una dominante nella nostra vita.
Le sue opere nascono inizialmente dal disegno manuale, penna grafica e post-elaborazione unite a tecniche miste digitali e forniscono uno specchio del mondo attraverso un linguaggio dinamico, al confine tra astrazione e figurazione. Roxy ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, specializzandosi nel 1998 in tecniche grafiche con una tesi intitolata “Multimedialità nell’Arte Contemporanea”. Ha lavorato come graphic designer in area di stampa, poi come motion designer nel settore dei videogames tra Italia, Francia e Cina e successivamente in ambito televisivo. Attraverso lo studio della matematica frattale e con le conoscenze tecniche acquisite nel corso delle sue esperienze professionali, la sua ricerca è in continua evoluzione e si concentra su una rappresentazione personale della realtà.
La tua arte si avvale dei linguaggi tecnologici più attuali, ma ha radici nei principi più antichi e legge le complementarietà presenti in ognuno e in ogni cosa, tanto da poter affermare che le tue opere sono radiografie dell’anima. Cosa ti interessa trovare nell’andare tanto a fondo nello studio umano e della natura? La radiografia è strumento di diagnosi della malattia o anche della salute?
Mi interessa ricercare le corrispondenze tra macro e microcosmo. Con queste, sviluppare un linguaggio artistico che tracci un ponte tra spirito e materia. Realizzare una forma d’arte che ci aiuti a ritrovare il contatto con noi stessi, con la nostra interiorità, che ci aiuti a progredire a livello percettivo, perché tutto inizia da lì.
La radiografia in questo contesto è strumento che registra lo stato dell’essere (dell’autore e poi del fruitore). Non dà una diagnosi positiva o negativa.
Esterna di base le diverse capacità immaginative ed emozionali. L’indagine proseguirà in alcuni progetti che sto elaborando, cercando di trovare delle somiglianze in termini di emozioni/percezioni/reazioni tra soggetti diversi.
C’è una fase nerd nell’elaborazione creativa e poi un’affascinante commistione tra matematica, filosofia, psicologia e arte. Frattali e grafica bi-tridimensionale possono sembrare strumenti poco spontanei, nel senso che non c’è l’immediatezza del gesto. È come se le tue riflessioni fossero scientifiche prima di diventare artistiche.
Non sono un’artista gestuale, evidentemente. Però ho scelto di esprimermi attraverso un linguaggio matematico perché trovo affascinante che tutto l’universo nella sua armonia e nelle sue proporzioni ne sia pregno. In tal senso questo linguaggio è più vicino alla natura e all’uomo di molti altri, per quanto possa sembrare bizzarro. Ciò è percepibile dall’osservatore, ma non ovvio. Il tocco “umano”, comunque c’è ed è mentale; sta nel creare quei segni senza abbandonarsi alla casualità del processore, selezionarli per poi comporli in un ordine dettato dalla sensibilità personale.
È una scelta concettuale e mirata. Il computer il mezzo del nostro tempo adatto a realizzarla. Scienza ed Arte ci offrono metodi di indagine del mondo che ci circonda. Il contributo di entrambe allo sviluppo dell’umanità è indubitabile. Immagino che le mie riflessioni sembrino prima scientifiche, ma hanno avuto la loro origine dieci anni fa proprio nell’arte e grazie all’arte, in un periodo in cui cercavo di approfondire l’analisi di tratto e linea, con intento puramente estetico. L’arte è il mio linguaggio divulgativo.
Raccontaci brevemente l’elaborazione di una tua opera, dall’idea alla realizzazione finale.
L’arte è comunicazione e il concetto deve permeare sempre un lavoro artistico. Perciò è il concetto il mio primo passo verso l’opera. Personalmente approfondisco spesso tematiche legate all’essere, perché credo che scoprire se stessi, conoscersi sia la chiave dell’evoluzione e l’artista in tal senso ha una missione importante. Sviluppato il tema, proseguo reinterpretandolo visivamente. Stendo uno schizzo a mano (spesso tramite tavoletta grafica o scansione), e passo poi a una successiva rielaborazione delle curve e delle linee del disegno tramite una personale libreria di equazioni frattali da me create a computer e selezionate ad hoc. Il gesto si fa così proporzionato e armonico, come nel mondo naturale, e ne diventa traduzione matematica visiva.
Completato il soggetto, talvolta con l’inserimento di elementi 3D e/o di effetti digitali illustrati, passo al compositing dei vari elementi e alla calibrazione del colore.
Successivamente confronto tra loro vari campioni stampati dello stesso pezzo, ma realizzati con combinazioni diverse di elementi-colore-grana-profondità, per scegliere alla fine quello più ideale ai fini della comunicazione del concetto.
The Wave
Hai frequentato l’Accademia di Belle Arti di Roma. Quali sono state le tappe più importanti per la tua formazione o gli incontri artistici più influenti finora?
I primi quattro anni dell’Accademia sono stati Sperimentazione e Ricerca e due i momenti formativi essenziali che ricordo con gratitudine.
Il primo è rappresentato dalle lezioni di Paolo Frascà nella “Teoria della Percezione e Psicologia della Forma”.
Artista anticonvenzionale di grande spessore, ci guidava a catturare dall’inconscio le nostre inclinazioni attraverso una serie di grafismi personali. I segni di matrice istintiva che di nostro pugno tracciavamo su strati di carta servivano a farci scoprire un po’ alla volta la tipologia della nostra natura creativa. A me rivelarono la predisposizione al racconto. Narrazione e Visione.
A metà degli anni ’90, parallelamente allo studio, lavoravo nella grafica digitale applicata alla stampa. Da qualche tempo avevo iniziato ad interessarmi alla tecnologia ed ero incuriosita dalle sue possibili applicazioni in ambito artistico. Così il secondo momento formativo di rilievo fu l’incontro/confronto tra l’esperienza lavorativa nella grafica digitale di quel periodo e gli studi accademici di “Tecniche Grafiche Speciali”, sotto la docenza di Laura Salvi. Le nostre affinità e gli incoraggiamenti ricevuti mi diedero lo slancio a spingere la ricerca artistica in senso più tecnologico, come è evidente nella tesi che stesi alla fine del quinto anno sulla “Multimedialità nell’Arte Contemporanea”.
È questo l’inizio ufficiale della mia analisi sull’influenza della tecnologia nell’arte e del suo impiego nel panorama artistico internazionale. A “Documenta X”, la quadriennale di Kassel, osservai e studiai con attenzione le opere presentate dagli artisti contemporanei su questo tema e capii che si stavano aprendo nuove frontiere, immense potenzialità. Penso in particolare a Internet che fece in questa occasione la sua comparsa nel mondo dell’arte.
Tra gli incontri artistici più influenti su di me: Max Ernst, per aver dato voce e volto all’irrazionalità e all’inconscio, temi a me molto cari.
Marcel Duchamp, che ha trasformato l’oggetto in opera d’arte e introdotto l’umorismo nella stessa, incitando l’osservatore a un cambio di prospettiva.
William Turner perché dai suoi lavori sulla natura scaturisce una profonda comprensione dell’umanità.
Aggiungo molti artisti e colleghi illustratori che ho incontrato durante il mio cammino professionale, perché dopo un reciproco confronto è sempre scaturito un avanzamento reciproco. Infine una forte stretta di mano va al mio amico e collega di ricerca in ambito informatico Valerio, con il supporto del quale ho sviluppato il mio attuale linguaggio visivo.
Nella rappresentazione artistica ti interessa molto l’evoluzione, il viaggio, il divenire. Eppure un quadro a un certo punto si deve fermare, si deve arrestare una scena, un dettaglio, una raffigurazione creata nel secondo X. Come trovi equilibrio tra il ‘fermo immagine’ e il continuo fluire in cui ti riconosci?
Nel presente. È lì che il tempo si legge nella sua completezza. Un attimo che si rinnova incessantemente.
Nel 2013 non solo sei tra i tredici finalisti del Premio COMEL, scelta tra tanti artisti dell’Unione Europea, vinci anche il premio del pubblico (a parità con l’artista GOA) con l’opera “Cielo e Terra”. Cosa ha significato per te quest’esperienza, in cui hai dovuto lavorare sull’alluminio, e come (se) ha influenzato la tua produzione successiva?
COMEL è stata un’esperienza molto costruttiva e gratificante. È stata anche l’occasione per scoprire artisticamente un materiale da me inesplorato fino a quel momento.
Gratificante perché è come se il pubblico avesse risposto empaticamente “Sì, sento. Sono in ascolto”. Credo che in quell’occasione “Cielo e Terra” abbia toccato le corde percettive del pubblico, usando un nuovo linguaggio visivo che propongo ed intendo dimostrare come linguaggio universale sensoriale.
Sulla scoperta del materiale invece, l’alluminio (se riflettente) ha la proprietà di restituire un effetto cangiante a livello visivo secondo l’angolo di incidenza della luce. A una variabilità di colori e contrasti del disegno sulla lastra corrisponde visivamente un soggetto instabile e mutevole in base al punto di vista dell’osservatore. Questa caratteristica si presta a rafforzare i concetti del Fluire e della Trasformazione che sottendono tutta la mia ricerca artistica, perciò l’alluminio è diventato il mio materiale di punta, almeno per ora.
Ho quindi continuato a utilizzarlo in numerosi lavori, apprezzandone altri aspetti positivi non meno importanti anche da un punto di vista pratico, come la leggerezza, la flessibilità, la termo-resistenza.
Dare
Il panta rei eracliteo è elemento costante nella tua produzione, tanto che definisci spesso le tue opere “in avanzamento”. Cosa accade quando arriva il momento in cui ti convinci che un progetto è concluso e passi ad altro?
Sì. Di base, ogni immagine che produco è l’aspettativa di un potenziale “in fieri”.
Osservarla, come spero, dovrebbe attivare almeno una domanda nella mente dell’osservatore, o indurlo a svilupparne un seguito della storia; lui stesso ne potrebbe diventare partecipe e autore, viaggiandoci dentro con la sua sensibilità. Per questo, teoricamente, in qualsiasi mio lavoro non esista una vera e propria conclusione. C’è una storia, un soggetto, un’energia che si trasforma e continua ad essere attraverso le persone che lo percepiscono. Allo stesso modo, per quanto riguarda me, è come se in un ipotetico momento “conclusivo” della produzione, dicessi: “A presto. Continueremo la prossima volta”. È solo un arrivederci. In sintesi, quella storia, quel soggetto continueranno sempre ad esistere, grazie al cambiamento.
Quanto è importante la condivisione sui social per te che crei continuamente con strumenti all’avanguardia?
I social oggi sono molto importanti a diversi livelli in termini di diffusione e visibilità: gli stessi musei, le istituzioni culturali, i politici, le star, ecc. vi si affidano per questa ragione. Ancor più per un artista digitale vale questo discorso: sarebbe alquanto anacronistico, limitativo, dispendioso, puntare su un altro strumento divulgativo e di condivisione. Il passaparola virtuale dei social tramite la condivisione dei link può assumere una dimensione virale. Le potenzialità della rete sono alte, ma per rapire l’attenzione del pubblico bisogna impegnarsi molto oggi: creare eventi, giochi, lanciare hashtag su Twitter. È importante coinvolgere il fruitore in modo ludico. A volte ci si riesce, altre no. E sponsorizzarsi è un secondo lavoro che ruba moltissimo tempo.
I giardini interiori che raffiguri sono stracolmi di natura rigogliosa e armonia. Ciò significa che se facciamo posto alla natura nella nostra interiorità rendiamo questa migliore?
La natura e il nostro mondo interiore si somigliano in modo omotetico.
Anzi. Noi ne siamo un frammento frattale, una derivazione, e come tale ne conserviamo memoria. Vibriamo e siamo incostanti, secondo le circostanze, come il mondo naturale. Quindi credo che non abbiamo bisogno di fare posto alla natura nella nostra interiorità; lei vi è già presente; abbiamo bisogno di trovarla e riconoscerla dentro di noi per conoscere meglio noi stessi.
… “Guarda un filo d’erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia” (cit. Tiziano Terzani).
Un progetto che sogni di realizzare quanto prima?
Riuscire a vivere di sola arte.