Intervista a Salvatore Giunta
di Rosa Manauzzi
Salvatore Giunta nasce a Roma nel 1943, dove vive e lavora. Terminati gli studi presso il Liceo artistico, approfondisce lo studio delle Arti Applicate. Si diploma in Scenografia e frequenta la facoltà di Architettura di Roma seguendo i corsi di Perugini, Portoghesi e Zevi.
Formatosi attraverso la cultura delle avanguardie, ha sperimentato varie fasi, dall’informale all’astrattismo. La sua produzione è proiettata da un lato verso la forma allusiva, simbolica, dall’altro verso l’invenzione strutturale nello spazio. Dai primi anni ’90 si muove all’interno del neo minimalismo. Inizia ad esporre dal ’62 e affianca all’attività pittorica, quella di docente di Educazione artistica e successivamente di Discipline plastiche nei Licei artistici occupandosi della didattica anche con articoli e pubblicazioni. Nel ’69 allestisce la prima personale al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Pittore e scultore, Giunta si è occupato di incisione, scenografia teatrale, video; ha lavorato su testi letterali con diversi poeti. Ricerca e attività artistica procedono in parallelo, portando a numerose ed importanti esposizioni. Agli anni ’80 risalgono i primi libri d’artista, che continuerà a realizzare in proprio e per le edizioni Artein, Arteuropa e Nouvelle Justine. Nel 2013 gli viene assegnato il Premio Mnemosine ed è selezionato per il Premio COMEL. Ha tenuto mostre personali e collettive in Italia e in Oriente.
La tua arte si nutre continuamente di ricerca nello spazio. Il segno e il volume nascono in funzione dello spazio che occupano e lo spazio muta a seconda dell’opera che decidi di farvi abitare. La ricerca è quindi fondamentalmente mirata all’equilibrio tra ciò che già esiste e ciò che creerai. Talvolta riesci a trovare equilibri impossibili. Cosa c’è alla base di questo processo, come si svolge e quale impatto esistenziale vuoi che si produca in chi osserva?
Occorre distinguere: se ci riferiamo al lavoro bidimensione grafico/pittorico, il “segno” lo strutturo in funzione del “campo”, ovvero della superficie sulla quale intervengo. Viceversa, per realizzare una installazione o una scultura non opero virtualmente, come nel primo caso, ma debbo costruire. Sarà quindi lo spazio a mutare, poiché entreranno in gioco diversi fattori percettivi materiali e virtuali come ambiguità, asimmetrie, equilibri precari. Questi saranno gli elementi con i quali l’osservatore si confronterà.
La sperimentazione polimaterica trova motivi di incontro con l’avanguardia, in particolare è stato detto di te che recuperi e attualizzi la figura centrale dell’ucraino Kasimir Malevic. Cos’è per te la “pittura pura”?
Alcuni commentatori, del mio lavoro, hanno più volte osservato assonanze con Malevic. Credo che chi abbia affrontato il percorso aniconico sia debitore verso la poetica e le affermazioni di Malevic, che resta un grande ideologo. L’affermazione che l’artista lavori seguendo la pura sensibilità plastica, lo sdoganamento, diremo oggi, delle “forme assolute” sono principi basilari dell’astrattismo, nel quale si sono inseriti diversi distinguo e teorie poetiche, quali il neoplasticismo, nonché la dimensione estetica professata dal costruttivismo. Quindi mi ritengo culturalmente “figlio” di questo intreccio, con presunzione di autonomia.
Rilievo n°1
Le opere sono volumetrie pulite, lineari, del tutto bilanciate. Rievocano volumi geometri riconoscibili eppure sembrano suggerire altre dimensioni, annullando il conosciuto. Ci troviamo di fronte ad una architettura pura? Parafrasando Malevic, è possibile attraverso i volumi annullare l’oggettività, astrarsi dalla realtà?
Si! Nella mia ricerca c’è il fine di realizzare “architettura” pura. Alla seconda parte della domanda rispondo che dalla realtà non si può prescindere, quindi astraggo creando, in alternativa, altre forme e situazioni.
Nella composizione scultorea e nell’uso dei colori è ravvisabile la presenza sinestetica di vibrazioni musicali. Forse è il risultato dell’armonia volumetrica e cromatica raggiunta, oppure segui in parallelo la costruzione di uno spartito musicale e di uno artistico?
Le vibrazioni musicali ravvisate nelle mie opere nascono da una radicale semplificazione e scomposizione delle forme strutturate, in una sfaccettatura dinamica della luce naturale o pittorica.
Quali sono le esperienze e gli artisti che consideri fondamentali?
Sicuramente Mondrian ed il gruppo De Stijl, e poi Cezanne ad Alvar Aalto ed ancora Mies Van de Rohe e Melotti e Feininger. Non ultimo, Hans Richter.
Come si inserisce la tua produzione artistica nell’arte presente? Neo-minimalista è un termine in cui ti ritrovi?
Essere incasellati in una categoria è riduttivo. In particolare direi che nella nostra epoca, la “contaminazione” gioca un ruolo importante.
Rilievo n°3
Il 2013 ha segnato una tappa importante nella tua carriera. Dopo mostre personali e collettive in varie parti del mondo hai ricevuto sia il premio Mnemosine sia la selezione per il Premio internazionale COMEL. L’alluminio è uno dei materiali che solitamente lavori o è si è trattato di una nuova sfida? Come è nata l’opera “Bilico”?
L’interesse per i materiali e quanto con essi sia possibile dare visibilità al mio pensiero, mi ha dato l’occasione di trattarne diversi come la creta, il cemento, il legno, il metallo, le carte, le resine. “Bilico” fa parte della serie di opere realizzate in legno o metallo, progettate dal 1996 al 2006.
La scelta dell’alluminio è stata per Bilico, dettata dalle sue peculiarità: leggerezza, luminosità e resistenza. “Bilico” (2003) è un “segno”, una parabola che nasce, in basso, accostata ad una sfera, e sviluppa il suo arco proiettandosi nello spazio per 106 cm. Al suo apice, nel punto di caduta è posta una piccola sfera a porre un dubbio all’osservatore.
Insegnare arte è molto complesso in un sistema scolastico in cui l’arte è erroneamente considerata materia secondaria. Eppure tanto può fare per arricchire la sensibilità la bellezza e la coscienza dello sguardo. Ad un certo punto hai deciso di abbandonare questa possibilità per dedicarti totalmente all’attività artistica. Qualche rimpianto?
Stare a contatto con i giovani, e per giovani non intendo solo i ragazzi in età scolare, ma anche giovani critici, giovani artisti, è utilissimo per essere nel presente. In qualità di insegnante ho cercato di svolgere una didattica attiva guidando gli studenti sul territorio per ricerche storico-semantiche o in gemellaggi con altri istituti per la realizzazione di scenografie per opere teatrali. Avendo iniziato ad insegnare da giovanissimo altrettanto ne sono uscito “giovane”, anche se dopo ben 35 anni. Avrei potuto continuare, ma bisogna capire quando mettere un punto. Si fanno scelte, i rimpianti non debbono avere dimora.