FINALISTA PREMIO COMEL 2017

Intervista a Daniela Bellofiore

di Rosa Manauzzi

Siracusana di origini, vive a Roma, dove affianca la produzione artistica alla professione di docente. Artista materica, nutre interesse per gli oggetti di scarto che divengono motivo di nuove giustapposizioni creative. Rivitalizzazione, metamorfosi, decontestualizzazione sono i processi essenziali della sua arte. Questa, oltre ad essere ricerca estetica e riscatto dell’oggetto, è anche indagine sull’attualità, sul giusto bilanciamento tra le radici culturali e le nuove possibilità che si aprono. Le sue opere spaziano dal collage all’iconologia della materia, dall’espressionismo astratto alla scultura. L’arte è libera dai vincoli dello spazio e della forma e assume funzione terapeutica.

Una definizione che precisa il tipo di azione artistica che porta avanti è “materiatrice”. Lei stessa spiega che questo termine implica il riuso di tutto ciò che trova. Obiettivo è comunicare. Quindi non un’arte rinchiusa, quanto piuttosto manifestazioni continue di condivisione. Perché ha scelto questa via?

Sin da ragazza ho amato il bricolage e mi piaceva il fatto di poter trasformare le cose e non buttarle via. Era come se sentissi l’anima negli oggetti e mi dava felicità vederli rinascere sotto un’altra veste. Pian piano le cose che trasformavo hanno iniziato ad assumere una forma artistica e mi rendevo conto che fissare su una tela, o una base qualsiasi, un oggetto che qualcun altro aveva toccato, vissuto e “sentito”, era, in un certo senso, fissare nel tempo la “storia non raccontata” ed evolvere l’oggetto ad una nuova vita.
Nelle cose, di solito, proiettiamo le nostre emozioni e così diventano pezzi importanti della nostra vita, memoria di un nostro vissuto. In questa visione, la mia arte diventa un incontro, una condivisione, uno scambio di emozioni e di vite che i materiali raccontano.

Le radici culturali contano, eppure ci tiene a sottolineare quanto sia importante “la dimensione nuova”, nuove appartenenze, senza confini. E lo dice da siracusana trapiantata a Roma. Considerando i tempi in cui viviamo (70 Paesi hanno eretto muri contro gli 11 ai tempi della caduta del muro di Berlino!) la sua sembra quasi una rivendicazione politica: abbattiamo i confini e accogliamo le trasformazioni.

La nostra società è già multiculturale e se non abbattiamo i muri della diffidenza, che portano alla paura e all’emarginazione dell’altro, non riusciremo mai a raggiungere una società realmente integrata.
La storia dell’evoluzione dell’essere umano è iniziata in Africa e Lucy è la mia antenata. Da ciò la mia riflessione: se gli africani non fossero emigrati, noi saremmo neri? Non esisteremmo in questi Stati? Esisterebbero gli Stati?
Lo scambio intelligente porta, sempre, crescita personale e sociale.

Daniela Bellofiore nel suo studio a Roma

A questo proposito nasce In to th’Europa (2017), pittura con tecnica mista con materiali di recupero, che è stata tra le tredici opere finaliste del Premio COMEL. Cosa ha significato vedersi selezionata tra centinaia di opere giunte da tutta Europa? E che importanza ha avuto il Premio nel suo cammino artistico?

La qualità delle opere che partecipano a Premio COMEL è sempre alta e ritrovare la mia, tra queste, è stato un regalo della vita!
Le opere esposte, o forse la loro anima, hanno creato una sinergia tra alcuni artisti che erano presenti e da lì, in otto, siamo volati a Cagliari il 30 aprile, per una mostra collettiva sostenuta, anche, da Premio COMEL.

Qual è il suo rapporto con i materiali? E in particolare quali possibilità le offre l’alluminio con la sua facile duttilità e i giochi di luce che è in grado di creare?

Non faccio distinzioni di materie e materiali. Per me, tutto ciò che trovo ha un potenziale artistico. Quando scopro un oggetto abbandonato, infatti, ne sono calamitata perché ne vedo già la trasformazione.
Inserisco l’alluminio in molte mie opere per dare risalto ad alcuni dettagli o per dare luce all’opera stessa. L’alluminio, infatti, mi cattura perché penso che possieda una sua individualità e con i giochi di luce che crea si presta alla bellezza che mi serve per completare un’opera. Amo utilizzare i fili di alluminio, di qualsiasi spessore, quando voglio scrivere parole sui quadri o voglio creare dei movimenti armonici.

Nel suo background c’è anche l’impegno canoro e musicale (nel 1996 “Una voce per Sanremo” e nel 1998 è al Festival di San Marino, nel 2000 al Canto Anch’io di Roma). Ha mai unito arte e musica? Il tipo di espressione artistica (canto o pittura) è legata ai diversi stati d’animo?

Il connubio tra arte e musica si manifesta più esplicitamente in due miei quadri, “Fuori nota… fa la libertà” e “Composizione”, in cui rappresento la libertà individuale attraverso la liberazione delle note musicali. Inoltre, monto dei video in cui faccio vedere tutte le fasi della lavorazione delle mie opere e in essi inserisco delle musiche che scelgo di pancia.
Tutto ciò che creo (canzoni o pittura) sono “parti emotivi”. Durante la creazione, infatti, entro in empatia con l’opera che sto realizzando e vivo uno stato di malessere e di agonia ogni volta che ci lavoro. Alla fine, quando la guardo e non sento più nulla, l’opera è pronta.
Utilizzo l’opera come un processo terapeutico e mi piace l’idea di poterla definire un “setting artistico”.

Volo pindarico

L’aspetto terapeutico nell’arte trova ancora poca applicazione nel nostro Paese, eppure dai giovanissimi agli adulti, sono tanti che potrebbero beneficiarne. Sicuramente il più grande campo di applicazione è la bellezza. Lei condivide l’impegno artistico e l’insegnamento. Quanto conta l’arte nella delicata funzione di docente?

I bambini si esprimono attraverso la creatività sin da piccoli ed in questo modo comunicano le loro emozioni, trasformano le loro idee in realtà, si evolvono interiormente, imparano l’attesa (la creazione richiede cura e attesa) ed imparano ad osservare ed interpretare.

I miei alunni vivono l’arte quotidianamente ed hanno imparato che dare una nova vita agli scarti è una possibilità di cambiamento. Facciamo, infatti, lavoretti ed opere di tutte le tipologie recuperando i materiali gettati via; abbiamo realizzato le scenografie in 3D, di cartone, delle sequenze di una fiaba inventata da loro; quest’anno, poi, stiamo recuperando, trasformandoli, alcuni arredamenti scolastici (lavagne, sedie, cattedre, armadi) in disuso.

È bellissimo creare con loro. La cura, l’amore, la complicità ed il divertimento è la base del loro fare. Ho visto bambini crescere nella loro autostima (base della vita di un soggetto) grazie all’approccio, senza paura, al fare, al disfare e al ricominciare.

Sculture e pittosculture nascono per svincolare l’arte pittorica dalla bidimensionalità della tela e avvicinarsi al volume reale degli oggetti. Liberare quindi e liberarsi dalla cristallizzazione visiva e non solo.

In ogni mia opera c’è un significato disegnato con gli oggetti. Mi piace che l’osservatore sia libero di andare oltre la mia mente e trovare la sua immaginazione. E se questa incontra il mio pensiero cristallizzato sul supporto, ciò vuol dire che la mia emozione è arrivata.

Il colore è un elemento vivo delle sue opere, che si tratti di pittosculture, collage, fotografie volumizzate, quadri materici, sembra diffondersi sull’opera quasi a scrivere d’impeto una poesia cromatica. Ogni tinta nel suo spazio, ogni spazio armonizzato agli altri, come solo il risultato di una composizione poetica sa dare. E con un tocco prevalente di rosso.

Il rosso non è il mio colore preferito! Eppure, mi ritrovo ad utilizzarlo spessissimo. Forse perché, così come il nero, che amo molto, segna ed evidenzia?

Non nego, però, che amo moltissimo colorare di viola, arancione, giallo e verde pistacchio. Soprattutto quando la mia anima è in uno stato di serenità.

Condividi questa storia, scegli tu dove!