Intervista a Penelope Chiara Cocchi
di Ilaria Ferri
Penelope Chiara Cocchi è un’artista contemporanea che vive e lavora tra Bologna e la Florida (USA). Dopo una Laurea SSLMIT, Scuola di interpretariato e traduzione, si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2011.
La sua produzione artistica più recente si basa sulla tecnica dell’infinity mirror. Attraverso i suoi “Star Gates”, vere e proprie installazioni sensoriali, parla di temi che attraversano la filosofia, passando per l’antropologia, la letteratura e la scienza. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero: negli USA, in Russia, Messico, Austria, Inghilterra. Ha esposto in istituzioni quali la Biennale di Venezia, il MISP Museum di San Pietroburgo, il MACRO di Roma, il Ringling Museum in Florida, l’IIC di San Francisco e molte altre. È rappresentata da gallerie e agenti a Miami, New York City, Palm Springs, Messico, Austria e in Italia.
Finalista e vincitrice di vari premi internazionali: Premio COMEL (2021), The Looking Glass and Through it (IIC di San Pietroburgo) 2020, OfficinARS (2018), Artdex New York (2018), Combat Prize (2018), Premio Arte Laguna (2017), Arte e Scienza Fondazione Golinelli (2009).
Il tuo percorso artistico abbraccia diverse discipline: arte, filosofia e scienza che si fondono nella ricerca di senso, di comprensione, delle origini delle idee, dell’umanità. Secondo te l’arte è uno strumento di conoscenza e condivisione delle proprie scoperte personali? È un mezzo per scrutare il mondo, la natura e quindi comprendere meglio sé stessi o è un processo spontaneo che naturalmente indaga il senso ultimo della Vita?
Trovo che entrambe le descrizioni si addicano al mio percorso. Prima di tutto, l’Arte è ESIGENZA per me, così come per il genere umano. Si tratta di un processo spontaneo, naturale, senza il quale l’io non sarebbe io, senza quale l’artista non sarebbe capace di respirare. Si è artisti al di là della propria posizione professionale, al di là delle vendite e delle esposizioni: si è artisti per pura necessità di esprimersi attraverso un mezzo formale. Non per nulla ogni artista ha le proprie tecniche che predilige: la ragione è data dalla propria forma mentis e dalla propria corporis coegi (pulsione corporea). Ascoltata questa pulsione, l’artista poi deve trasformare il pensiero in realtà, in forma simbolica, plasmata dalle mani che ovviamente la convertono in altro: in un oggetto che è capace di oltrepassare le culture e i linguaggi, e rendersi universale. Questo processo è innato e naturale per l’artista, perché si tratta di soggetti capaci di comunicare con l’inconscio collettivo attraverso il proprio naturale passaggio attraverso i portali archetipici. Personalmente, studio tantissimo. Leggo, mi informo, sono curiosa dei più svariati aspetti della natura e dell’umanità. Studio filosofia, scienza, psicologia, ma anche la politica, la storia. Mentre studio, riempio i miei libri e i miei fogli di note legate alle opere che voglio fare, è così che nascono i miei lavori. Il pensiero si trasforma e diventa oggetto: lo fa spontaneamente quando è serenamente immerso nel mondo delle idee.
Da alcune tue interviste si evince che il SOGNO è un motore propulsore non solo della tua attività artistica, ma di tutta la tua vita. Il sogno, non solo inteso come spinta ad agire per raggiungere un obiettivo, ma anche l’attività onirica che sembra parlarti e indicarti una strada. Quanto è importante il sogno per te? Come ha indirizzato la tua vita e le tue scelte?
Il mio vissuto notturno è in effetti di grande importanza per la mia espressione personale. Sono spontaneamente orientata a un profondo ascolto dei miei sogni, lì succede di tutto. Un mondo parallelo che sovente si riversa nella mia veglia, perché mi capita molto spesso di ricordarmi quello che sogno. L’inconscio è capace di guidarci attraverso un linguaggio molto sottile e sublime, è un percorso lungo, quello in cui si arriva a fidarsi delle proprie intuizioni. Saperci comunicare è anche quella un’arte, e gli artisti, come spiegato poc’anzi, sono dei veri e propri medium. Sin da bambina mi ha affascinato, in adolescenza ho partecipato a molti corsi e letto tanti libri di interpretazione dei sogni, da Jung a Freud, e oggi è una delle attività che prediligo: attraverso il linguaggio simbolico si è capaci di arrivare in luoghi inesplorati, molto affascinanti, ma soprattutto molto stimolanti.
foto: Donato Testoni
La tua attuale ricerca artistica sta esplorando l’universo degli infinity mirrors. Come è nata l’idea dei tuoi Star Gates? Ti sei diplomata in Pittura all’Accademia delle Belle Arti di Bologna, il tuo percorso è nato lì. Come si è evoluto il tuo stile e la tua ricerca? Quanto la pittura fa ancora parte del tuo mondo artistico?
La pittura e il disegno, così come la fotografia e la scultura, sono tecniche fondanti il mio linguaggio artistico, ancora oggi. I miei fogli di progettazione sono pieni di grafite e pigmenti, così come i miei libri sono pieni di progetti per installazioni e sculture. Bisognerebbe avere almeno altre dieci vite per fare tutto quello che si ha in testa. L’importante è che vincano le idee più forti, quelle capaci di spiazzare e spazzare il pensiero, per arrivare all’essenza. Ecco perché ho dovuto attuare una scelta, sicuramente momentanea, ma di chiarezza di intento. Sto lavorando ad una armonizzazione comunicativa di tutto il mio percorso, e presto farò uscire dal loro guscio diversi lavori che ho portato avanti parallelamente finora. Probabilmente vedo il disegno e la pittura come qualcosa di più intimo, sicuramente progettuale, più vicino al mio sentire privato. Ma sono sicura che presto sarà un mondo capace di aprirsi al pubblico, probabilmente nelle prossime mostre.
Gli star Gates sono dei potenti strumenti portatori di significati e di messaggi che tu veicoli attraverso delle serie che trattano diversi argomenti, dalla religione alla filosofia, dal micro al macrocosmo, l’attualità, la letteratura. Ma allo stesso tempo sono delle “scatole” ipertecnologiche che interagiscono con l’osservatore attraverso delle App. Come riesci a legare arte e tecnologia? Anima, cuore e mente col metallo, la logica e il calcolo matematico?
Serie Macro Cosmos – La mappa del cielo Boreale – foto: Donato Testoni
Hai partecipato al Premio COMEL con l’opera We Are All Made of Stardust ottenendo una menzione speciale da parte della giuria che è rimasta colpita dal tuo lavoro. Il Premio COMEL, proprio come i tuoi Star Gates, unisce il lato emozionale dell’arte con quello più tecnico e artigianale. Nel caso dell’ottava edizione il tema Legami in Alluminio partiva da una caratteristica chimica di questo metallo (la maggiore capacità degli atomi di alluminio di legarsi con altri elementi) per giungere al concetto più astratto del legame. Come è nata l’idea di partecipare al Premio e la scelta di questa opera in particolare? Quali ricordi porti con te di questa esperienza?
Sono tutti aspetti che passano distintamente a chi partecipa e viene selezionato dal vostro Premio. Una serietà e una passione fuori dal normale. Mi ritrovo molto nel messaggio che questo concorso continua a convogliare nelle varie edizioni: la passione per il materiale e per quello che può trasmettere una volta passato dalle mani dell’artista. Il legame è un concetto trasversale della mia ricerca: i punti di contatto tra le culture, tra i simboli, tra i vari momenti della storia umana. We Are All Made of Stardust è un concetto che mi accompagna dalla mia esposizione alla Biennale di Venezia, e mira a unire il macro e il micro cosmo, in una coscienza collettiva, universale e globalizzante. Carl Sagan insegna che la Terra non è che un pulviscolo insignificante per l’Universo; ma è proprio lì, così lui scrive, che avviene tutto quello che conosciamo, tutta la nostra storia, e l’infinitesima porzione della vita del cosmo coincide con la nostra personale vita. Sono concetti molto affascinanti e potentissimi, capaci di sovvertire il pensiero.
Micro Cosmos series- Crystallization – Foto by Donato Testoni
Hai partecipato al Premio COMEL con l’opera We Are All Made of Stardust ottenendo una menzione speciale da parte della giuria che è rimasta colpita dal tuo lavoro. Il Premio COMEL, proprio come i tuoi Star Gates, unisce il lato emozionale dell’arte con quello più tecnico e artigianale. Nel caso dell’ottava edizione il tema Legami in Alluminio partiva da una caratteristica chimica di questo metallo (la maggiore capacità degli atomi di alluminio di legarsi con altri elementi) per giungere al concetto più astratto del legame. Come è nata l’idea di partecipare al Premio e la scelta di questa opera in particolare? Quali ricordi porti con te di questa esperienza?
Sono tutti aspetti che passano distintamente a chi partecipa e viene selezionato dal vostro Premio. Una serietà e una passione fuori dal normale. Mi ritrovo molto nel messaggio che questo concorso continua a convogliare nelle varie edizioni: la passione per il materiale e per quello che può trasmettere una volta passato dalle mani dell’artista. Il legame è un concetto trasversale della mia ricerca: i punti di contatto tra le culture, tra i simboli, tra i vari momenti della storia umana. We Are All Made of Stardust è un concetto che mi accompagna dalla mia esposizione alla Biennale di Venezia, e mira a unire il macro e il micro cosmo, in una coscienza collettiva, universale e globalizzante. Carl Sagan insegna che la Terra non è che un pulviscolo insignificante per l’Universo; ma è proprio lì, così lui scrive, che avviene tutto quello che conosciamo, tutta la nostra storia, e l’infinitesima porzione della vita del cosmo coincide con la nostra personale vita. Sono concetti molto affascinanti e potentissimi, capaci di sovvertire il pensiero.