PREMIO COMEL VANNA MIGLIORIN 2023

Intervista a Claudia Del Giudice

di Ilaria Ferri

Fotografa intimista, da sempre orientata verso il sociale e l’ascolto nell’arte, Claudia Del Giudice è nata a Napoli dove vive e lavora. Laureata in Economia, trova nella fotografia un mezzo per indagare se stessa e il mondo che la circonda. Studia alla Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia presso la PFTIM di Napoli. Ha esposto in alcune mostre personali e in numerose collettive nazionali e internazionali. Ha all’attivo pubblicazioni fotografiche su riviste d’arte contemporanea, libri e cataloghi.

Nell’opera “Sostenibile leggerezza dell’essere”, che ti è valsa una menzione speciale da parte della giuria della X edizione del Premio COMEL, l’alluminio è presente sia fisicamente che concettualmente: affermi infatti che questo metallo “è l’esemplare incarnazione della sostenibilità, della contaminazione (in senso positivo) tra le parti”. Le due libellule e il filo d’alluminio “conferiscono una sorta di armonia mattinale tra naturalismo e astrazione, richiamando l’atavico dualismo metafisico tra Essere e Divenire, tra Relativo e Assoluto; è proprio l’alluminio a crearne il contesto”. Parlaci dell’interessante unione tra la tecnica che hai utilizzato e il concetto che hai voluto esprimere.

La tecnica mista da me utilizzata è una stampa UV diretta in esacromia su lastra di alluminio anodizzato satinato dello spessore di 2 mm, con passaggio UV Gloss. Nell’opera la presenza dell’uomo è rinvenibile proprio nell’alluminio, modellato in una forma sinuosa, perfettamente armonizzato con l’ambiente, anzi ne è parte integrante. Come sappiamo, l’alluminio è un materiale completamente riciclabile, plasmabile senza dispendio di energia che, nonostante la sua semplicità, il suo essere comune, risulta comunque durevole, lucente, funzionale. Grazie al fondo e alla sua particolare lucentezza, i segni impressi sulla lastra di alluminio acquistano un particolare significato estetico e l’applicazione del Gloss UV in alcuni punti del trittico restituisce tridimensionalità all’opera.

Tra le proprietà organolettiche del prezioso metallo, la leggerezza e la sostenibilità sono quelle che hanno maggiormente stimolato la mia creatività. “Sostenibile leggerezza dell’Essere” è un elogio alla leggerezza della vita; ho scelto il titolo dell’opera riadattando quello del noto romanzo di Milan Kundera a sostegno delle idee di “sottrazione di peso” e della “leggerezza dell’interiorità”, rispettivamente di Italo Calvino e Guglielmo Montuori, quali tentativi di elevarsi per superare la gravosità del mondo.

La fragilità e la delicatezza delle creature che ne condividono il fluire, minuscole sullo sfondo immenso del cielo verso cui spiccare il volo, ravvisano il bisogno della società di alleggerirsi dal consumismo, dalla produzione bulimica, dall’utilizzo di un progresso irriverente, per orientarsi verso un modello virtuoso e responsabile, sostenibile, al fine di concentrarsi su ciò che di fatto l’ha sempre motivata: lo slancio verso l’indefinito, l’ignoto, il desiderio di ricerca del profondo senso delle cose, di andare oltre, nel rispetto di ogni esperienza umana.

Passato, presente e futuro, sono collegati da una balaustra, “filo” più o meno sottile ma resiliente, che cambia nel tempo eppure si avvolge su se stesso.

Claudia Del Giudice al lavoro

Affermi che l’opera “Sostenibile leggerezza dell’essere” è un augurio, una speranza che si torni a dare importanza a modelli più virtuosi e sostenibili dell’esistenza, in senso ambientale ma anche sociale. Un augurio di poter tornare a una leggerezza che permetta di spiccare il volo verso l’indefinito, proprio come le piccole e fragili libellule sono pronte a volare verso l’immensità del cielo. Come è nata questa idea?

Dall’osservazione della natura che è saggia perché spontanea, sempre libera nell’esprimere se stessa, in continua metamorfosi.
L’Essere, nell’accezione heideggeriana di “Esserci”, ovvero che comporta una co-implicazione dello stare al mondo, ha adesso l’opportunità di riscattarsi attraverso la cura. “Sostenibile leggerezza dell’Essere” ne rappresenta l’auspicio, in un periodo così atipico, stanco, claudicante, ma pur sempre autentico. L’opera nel suo insieme richiama anche l’armonia e l’equilibrio, evoca la nostalgia per un passato che lentamente sta tornando in auge, nonostante la frenesia di cui siamo circondati e seppur con altre sembianze, tecnologie e materiali.

Nelle tue fotografie si nota chiaramente una propensione alla poesia, la ricerca di un qualcosa che va al di là del qui e ora, una ricerca verso l’Oltre. Affermi infatti di voler indagare attraverso i tuoi scatti il “rapporto tra visibile e invisibile”, raccontaci come nasce questa tua propensione, questa ricerca.

Nel riconoscere lo straordinario che si manifesta costantemente nell’ordinario, assecondando la propensione di sentirmi in simbiosi e in connessione con ciascun individuo, nonché con la biosfera di cui faccio parte. L’anelito verso l’ulteriorità, nella quale trovare un senso più vero e ampio dell’immenso di cui non sono che un piccolo frammento, mi caratterizza dalla nascita.

Passi, 2008 – stampa Fine Art su carta Hahnemühle Photo Rag Ultrasmooth(305gsm)

Sei laureata in economia e lavori nel settore economico-finanziario, come ti sei avvicinata alla fotografia? Come hai capito che doveva essere una parte importante della tua vita?


Sin dagli anni dell’adolescenza ho trovato nella fotografia un mezzo per scrutare me stessa e tutto quello che mi circonda. Sono nata come fotografa di viaggio, per me fonte di spunti e richiami a temi naturalistici e intimisti, nonché per soddisfare momenti di distensione e inconsciamente di ricerca della spiritualità presente in ognuno di noi.
Ho conseguito la laurea in Scienze economico-marittime con una tesi in marketing che mi ha spinto a riutilizzare la fotocamera come strumento di approfondimento di uno studio volto a trovare nelle immagini dei contenuti da veicolare immediati e pregnanti.
Ho proseguito il mio percorso come fotografa di eventi d’arte, sportivi, socio-culturali, mai tralasciando la mia ricerca artistica fatta di dettagli di quotidiana umanità e sfondi che evocano l’eternità.

La fotografia è spesso definita come un processo tecnico che ferma e perpetua un momento in una immagine, che sia un momento dell’esistenza di un essere vivente che è fermato per l’eternità, che sia un oggetto o un paesaggio. Per molti è uno strumento per documentare il reale, ma la fotografia è chiaramente molto di più. Puoi raccontarci cosa significa per te scattare una fotografia?

La mia fotografia è metafora di un continuo viaggio interiore, per ritrovare sé stessi nelle relazioni con gli altri e il mondo circostante. È un’incessante indagine sul paesaggio, sui luoghi vissuti durante i percorsi di vita, legata alla contestualizzazione della mia esperienza. Con le mie foto cerco di rivelare il legame imprescindibile che esiste tra tutti i luoghi e le culture della terra, nonostante le apparenti differenze. I percorsi di noi tutti, incerti e molteplici, per quanto diversi, ci uniscono in una fragile ma fantastica esistenza.
Non tutto ciò che appare è reale. Il terzo occhio osserva, cerca a fondo, va oltre ciò che si vede: sogni si intrecciano con i bisogni tra sacro e profano, elementi salvifici intervengono a risollevarci nelle nostre cadute, l’amore gratuito e incondizionato si fa avanti, la bellezza della vita si palesa. Emerge la nostra essenza.

Voglio correre, 2023 – stampa Fine Art su carta Hahnemühle Photo Rag Pearl (325gsm)

Affermi di non intendere la fotografia come “rappresentazione del mondo, quanto piuttosto di una sua reinterpretazione”. Quanto di te stessa c’è in ogni fotografia che scatti? Quanto e cosa di te stessa senti di comunicare a chi guarda i tuoi lavori?

In ogni mia fotografia c’è tanto di me, il mio vissuto, lo stupore, la necessità di sperimentare, la consapevolezza, l’impegno sociale nel rispetto della dignità umana; c’è pathos, empatia, l’intento di sostare nella realtà, di vivere le relazioni, di testimoniare bellezza e armonia. La fotografia rappresenta un incessante camminare, è per me al contempo arte e filosofia, creatività e riflessione, specchio dello spirito e finestra sulla speranza. La fotocamera mi accompagna nei momenti importanti, privati e professionali. L’arte non è qualcosa di separato dalla mia vita e la sua dimensione sacrale è per me indiscussa; ogni opera nasce da un corto circuito tra quello che vedo e quello che sento, è un collegamento tra il particolare e il generale, tra l’istante e l’eternità. A chi guarda i miei lavori cerco di comunicare tutto questo: creare è fuoriuscire da sé per divenire forieri di un incontro.
Il mio fotografare è volto a suscitare un dialogo poetico e sincero con ogni possibile interlocutore.

L’innocente, 2020 – stampa Fine Art su carta Hahnemühle Photo Rag Pearl (325gsm)

Dopo essere stata finalista al Premio COMEL hai partecipato come giurata al concorso di fotografia Architettura Nuda. Come ti sei sentita nel vestire sia i panni dell’artista che viene “giudicato” e sia quelli del giudice che “valuta” l’artista?

Responsabilizzata. Indipendentemente dal ruolo assunto, il filo conduttore è l’emozione scaturita sia nel creare che dal confronto con altri artisti e professionisti del settore e che determina l’inesauribile crescita e l’arricchimento interiore, apre la mente e nutre l’animo.

Attraverso i miei scatti cerco relazioni e significati, spesso svelati da particolari anche minimi: essi rappresentano un invito a fermare lo sguardo, a porsi in ascolto del silenzio, di noi stessi e degli altri, per esplorare la quotidianità, attraversarla, spingendosi fino alla profondità ultima del reale per cercare di superare i limiti spazio-temporali della nostra vita.

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