FINALISTA PREMIO COMEL 2018

Intervista a Gisella Meo

di Rosa Manauzzi

Nasce a Treviso (1936), vive e lavora a Roma. Nel 1960 si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia.
La sua arte va dall’espressionismo figurativo all’espressionismo astratto al concettuale. Usa i tagli, le pieghe e la modularità applicando una geometria rigorosa. Lavora con plurimateriali molli e duri. Fiber artista, crea i famosi telai Cilindro mobile (Gubbio, 1979), Maglia umana (Reggia di Caserta, 1982), Tombknitting (1984 e ’86); i flashmob Il Telaio umano (Treviso, 2013 e a Roma 2016), Il Telaio urbano (Torre di Bagnaia, 2002). Il suo libro Leviatan partecipa alla Biennale di Venezia del ’78 e alle più importanti mostre del libro-oggetto italiane e straniere.
Tra le più recenti mostre personali: Centro di Sarro di Roma (1990); 5° Biennale Donna, Palazzo dei Diamanti, Ferrara (1992); Museo della Donna, Ciliverghe, Brescia (1998); Galleria Miralli, Viterbo (2003); Museo di Santa Caterina, Treviso (2013); Biblioteca Angelica, Roma (2016); Sala Ruspoli, Cerveteri (2018).
Le sue opere si trovano, tra l’altro, presso l’Archivio ICPA dell’università di Oxford, al Museo dell’Informazione di Senigallia e alla Galleria di Arte Moderna di Ascoli Piceno (Ancona); nella raccolta di Arte Contemporanea della Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte dell’Università di Siena; al MART di Rovereto; presso la Biblioteca Nazionale di Firenze; al Museo Pecci di Prato; alla Biblioteca Centrale Nazionale di Roma; al Museo della Scultura Contemporanea MUSMA di Matera. È presente nel volume di Storia dell’Arte italiana del ‘900, Generazione Anni ’30, di Giorgio di Genova (Edizioni Bora, 2000) e nel volume La pittura in Italia: 900/3. Le ultime ricerche (testi di Enrico Crispolti, edizioni Electa,1994).

Durante gli anni dell’esperienza formativa presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia è avvenuto un incontro particolarmente importante con il pittore Tancredi Parmeggiani e il conseguente avvicinamento all’action painting e allo spazialismo. Quali erano stati fino ad allora i punti di riferimento artistico e cosa ha determinato un cambio di direzione?

Sì, ma Tancredi non aveva legami con l’Accademia. Anche perché lui era uno spirito libero ed autodidatta. Per quanto lo riguarda credo che non avesse nemmeno terminato il Liceo Artistico. Quando l’ho conosciuto frequentavo a Venezia il secondo anno di Accademia alla Scuola di Bruno Saetti, che ho continuato a frequentare fino alla fine del 1960.
La mia Storia con Tancredi è stata una storia d’Amore. Bellissima e importante, vissuta nell’arco di un anno, nel 1957. La sua frequentazione, naturalmente mi avvicinò all’action painting e allo spazialismo, ma a queste esperienze ci sono arrivata molto gradualmente, verso la fine dell’Accademia e poi, in maniera totale ed assoluta nel periodo africano, 1960-62. Quindi la mia è stata una evoluzione graduale, dall’espressionismo figurativo all’espressionismo astratto e più tardi al concettuale dove ancora mi trovo ad operare.

Le onde del quadrato

Negli anni ’60 diviene determinante la permanenza in Somalia, dove la presenza totalizzante della natura porta all’esecuzione di grandi opere polimateriche che saranno visibili nella personale al Museo della Garesa di Mogadiscio del 1961, con la presentazione di Mario De Luigi. Un giornale dell’epoca titolò: “Tutta Mogadiscio intellettuale alla personale di Gisella Meo” e fu inaugurata dal Ministro dell’Informazione. Si sa sempre molto poco di alcuni luoghi, anche oggi che disponiamo di tanti mezzi di informazione. Per questo alcuni luoghi d’Arte, in particolare, hanno questa importante funzione di dire “qui accadono cose, dovreste sapere…”. Cosa accadeva a Mogadiscio in quel periodo? Quali erano le tematiche e i materiali privilegiati? E cosa è rimasto di questa esperienza nell’Arte attuale?

Mogadiscio in quel periodo si stava godendo l’indipendenza che aveva ottenuto dall’Italia; si respirava tanto entusiasmo ed era un brulicare di iniziative. Tanta voglia di imparare. Io avevo la cattedra di insegnamento al Liceo Somalo e presso l’Istituto Tecnico per Geometri della Somalia. Però, per quanto riguarda l’arte contemporanea non c’era ancora niente ed è per quello che la mia mostra ha suscitato tanta curiosità e tanto interesse. Era la prima mostra di arte astratta che si teneva in quel territorio. Oggi purtroppo sappiamo che tutto quell’entusiasmo della giovane Somalia si è concluso molto presto trasformandosi in una orrenda guerra civile di distruzione e morte.

Il trasferimento a Roma nel 1968 coincide con la valorizzazione della forma geometrica. Nasce Il modulo quadrato, le superfici vengono sciolte, svuotate, trasformate attraverso l’incisione e trazione. Un passaggio verso il concettuale in cui i tagli e le modularità assumono una caratteristica che rimarrà costante nel tempo. Rientrata in Italia, un successivo passaggio è stato quello dalla natura all’uomo, quindi un nuovo figurativo dai contorni semplificati e frastagliati. Allo stesso tempo una geometria essenziale e definitiva. La geometria è un’essenza esteriore o l’indagine che scandaglia i moti interiori?

La geometria è un’essenza interiore e non esteriore e ne consegue un’indagine dal “di dentro”.
Il rientro in Italia è stata un’esperienza forte, vissuta anch’essa “dall’interno”. Era entrato un uomo nella mia vita e il rapporto era inteso, lacerante. Iniziò un’indagine profonda delle mie emozioni che poi fissavo graficamente e pittoricamente. Una ricerca quasi spasmodica che mi aiutava a capirmi raccontandomi. Stavo però mettendo allo scoperto me stessa e così, ad un certo punto mi sono ribellata e ho voluto uscire “verso gli altri”. Nasce l’interesse per il teatro moderno e la scoperta di Beckett (1964-65). I suoi spazi assurdi! Un’ambientazione essenziale: poche cose dai contorni ben definiti. Il bidone, il paravento e l’aquilone. C’è di questo periodo una produzione grafica consistente ed eloquente. C’è il quadrato e le sue diagonali, il cerchio, il cilindro, il tunnel e il parallelepipedo, la finestra e l’aquilone, insomma tutte le premesse per il passaggio successivo.

Con Tancredi maternità

Dagli anni ’70 subentra l’interesse per le grandi installazioni e gli interventi di animazione urbana: Vestire una fontana (Frascati,1977), Il cilindro mobile (Gubbio,1979), Le onde del quadrato (Venezia, Canal Grande, 1980), La maglia umana (Reggia di Caserta,1982), Tombknitting (Cerveteri, necropoli etrusca, 1984-86), Imbragare una torre (Torre di Bagnaia, Viterbo, 2002, in occasione del primo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle). Sono alcuni grandi segnali, quasi totem visuali ben in vista. L’utilizzo dei materiali nell’opera è variegato: dai materiali morbidi (carta, plastica, corde, tessuti) ai materiali duri (lamiera, cemento, legno). Su di essi si interviene con snodi e sequenzialità. Qual è il rapporto con la materia e come viene scelta e intrecciata?

Il mio rapporto con la materia è un rapporto d’amore e di “testa” e ogni volta che scelgo un materiale per la realizzazione di un’opera non c’è mai niente di casuale, tutto è calcolato. Se devo ottenere la rete del modulo quadrato (o tondo) e rendere la sua trasparenza e fluidità, scelgo la plastica più o meno leggera (vedi Le onde del quadrato, Venezia, m. 9 x 9). Se invece voglio evidenziare il passaggio da superficie quadrata a piramide attraverso il movimento di trazione e quindi visualizzare i tagli, uso la carta (vedi libro-oggetto Vuotare la pagina). Se invece lo voglio più consistente e realizzare una scultura-installazione, anche se morbida, uso la tela di sacco (juta) indurita con il flatting (vedi Da soffitto a pavimento, m. 3 x 3). Ma lo stesso modulo si potrebbe realizzare in lamiera pesante di ferro, per metterla in uno spazio esterno (farà la ruggine e sarà ancora più bella). Il legno l’ho usato per il Triposauro perché dovevo ottenere una struttura a snodo, di materiale consistente, in cui poter visualizzare bene (e qui rispondo alla seconda parte della sua domanda) il procedimento dell’intrecciare.
Per quanto riguarda il cemento non l’ho mai usato, però l’ho previsto. Il libro-oggetto Square’s square, del 1979, è volutamente in cartone grigio poiché prevede, sviluppandolo, la possibilità di una sua realizzazione in cemento, in un parco giochi per bambini.

Nel 1978 il libro Leviatan, basato su piegature e geometria rigorosa, è il primo libro-oggetto ad avere rilievo internazionale, partecipando alla Biennale di Venezia nella mostra “Materializzazione del linguaggio”, a cura di Mirella Bentivoglio. Il libro oggi fa parte della Special Collection of Rare Books del Getty Center for the History of Art and Humanities di Los Angeles. Si tratta soltanto dell’inizio, dato che seguiranno altri libri-oggetto che avranno collocazioni prestigiose: il libro Vuotare la pagina si trova oggi nella stessa collezione e, con libro Square’s square, è presente al National Museum of Women in the Arts di Washington. Il libro Vuotare la pagina ha preso parte alla IV Bienal de Arte di Medellin (Colombia) e alla XVI Bienal de S. Paulo (Brasile). Nel 1992 fa parte della mostra “The artist and the book in twentieth-century” al MOMA di New York. Nel 1995, il libro Tutto quanto è si trova alla Biennale di Venezia come menabò, nella mostra “Identità e differenza – libri di artiste”.
Nel 1981 è co-autrice, con Mirella Bentivoglio, del libro Zero-seme, che sarà presente anche nella mostra “Dalla parola al simbolo”, Palazzo delle Esposizioni di Roma (1996). Cos’è esattamente il libro-oggetto e quali letture può sollecitare?

Il libro-oggetto è un oggetto che ha la parvenza di un libro ma che poi in realtà è un’altra cosa. Soprattutto non si legge alla maniera di un normale libro poiché potrebbe non avere le pagine e tanto meno la scrittura. Quindi si legge in un altro modo. Vale soprattutto il messaggio che trasmette, lo stupore e l’emozione che ti fa provare. Il libro-oggetto è un’opera a sé stante, naturalmente scultorea. La sua forza è nel progetto e nell’idea che lo ha determinato ed è per questo che potrebbe essere anche seriale. Naturalmente con una numerazione limitata. Quali letture può sollecitare? Naturalmente l’approfondimento di tale ramo dell’arte e quello della Poesia Visiva in generale.

Squares square

L’opera Il mio modulo prima dei tagli (1976-2018), viene selezionata per il Premio COMEL VII edizione. Si tratta di una scultura-installazione di 12 moduli in alluminio e lamiera di varie misure (da 60×60 a 10×10). La critica d’arte Ada Patrizia Fiorillo così si è espressa: “[…] un rigoroso ordine geometrico si libera nello spazio secondo precise coordinate mentali, aperte quasi in ossimoro alla trasformazione e, complice la materia usata, alla alterazione di ogni ordine prestabilito. […] Ne risulta un imprevedibile incastro di situazioni: un corpo labirintico evocatore di suggestive sollecitazioni percettive”. Come nasce l’opera e come evolve nel tempo fino a raggiungere una stesura definitiva?

Il mio modulo prima dei Tagli è una superficie quadrata piegata e ripiegata nelle diagonali. Durante le prime esecuzioni, nel 1976, ho vissuto momento per momento tutte le sue fasi con emozione e la curiosità di un ricercatore. Si sa che quando una “forma” funziona, funzionerà sempre, dall’inizio alla fine. E allora ecco che il mio modulo posso bloccarlo anche prima dei tagli, dando importanza così soltanto alle pieghe. Siamo sempre nell’ambito della geometria, una geometria elementare: il quadrato. Lo si piega e ripiega nelle diagonali e poi lo si riapre. Anche questa operazione è semplice ed elementare; l’effetto che ne deriva è plastico, arioso e “commovente”.
Ho reso morbida la geometria, ma per rendere bene questo effetto e poterlo poi visualizzare bisognava lavorare su di una superficie dura, una lamiera, così quell’operazione rimaneva bloccata nel tempo e nello spazio. Un modulo così concepito già da solo è un’opera conclusa, ma se io voglio continuarla e fare altri moduli uguali ma di varie misure posso ottenere una installazione che può avere un andamento sequenziale oppure apparentemente casuale, più libero e in questo modo ogni volta avremmo un’impostazione differente. Per il Premio COMEL è stata data all’opera questa seconda impostazione.

Difficile inquadrare l’arte di Gisella Meo in una corrente. Sempre attenta ad aderire alle possibilità artistiche ma con una libertà del tutto personale e soprattutto con la volontà di scardinare ogni certezza, tuttavia affermando il simbolo, il mito, la materia. Se volessimo cercare una definizione onnicomprensiva?

A partire dagli anni ’70, posso inquadrarmi nell’ambito dell’arte concettuale. Lavoro sui filoni della Poesia Visiva con libri-oggetto e i libri-d’artista, quello delle installazioni e interventi sul territorio e animazione urbana e quello della Fiber-art con i telai anche umani (vedi i vari flashmob). Mi considero un’artista “mai fuori tempo”. Sin dall’inizio ho mostrato la mia vitalità e il desiderio di rinnovarmi, muovendomi naturalmente nel mio vissuto personale e il mio periodo storico.

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