Intervista a Lorenzo Galligani
di Rosa Manauzzi
È uno scultore fiorentino (classe 1975), formatosi tra l’Italia e il Giappone. Ha affinato la propria tecnica lavorando come scultore della pietra e del legno, con preferenza per il marmo. Esperto restauratore si è occupato di opere prestigiose e ha portato il suo contributo di artista e studioso in diversi workshop universitari, in qualità di Visiting Professor (in Italia, Messico e Giappone). È direttore dell’Accademia Galligani di Firenze. Modella sculture attraverso metodi tradizionali e a mano; una scelta che trasmette ai suoi studenti e che consente loro di sviluppare una migliore conoscenza e comprensione del necessario controllo delle tecniche per crescere nella loro progettualità.
Le prime esperienze formative la vedono cimentarsi, negli anni ’90, con foglie d’oro, restaurazione di opere in legno e lavorazione della pietra. A che età è scoccata la prima scintilla per l’arte?
Ho iniziato ad interessarmene in quel periodo attraverso il restauro, anche se i miei genitori hanno dipinto in passato, la curiosità è arrivata verso i 16 anni, e in maniera più incisiva verso i 20.
Artista fiorentino per antonomasia, completamente immerso nel Rinascimento di Firenze. Però anche esploratore di stili diversi e lontani. Cosa ha significato la esperienza in Messico e quali sono gli artisti di cui ha subito di più il fascino?
Molto, anche perché l’ho vissuto circondato da amici e professionisti, quindi mi ha fatto sentire come a casa. Inoltre, è un paese reattivo e disponibile al confronto in arte, per quanto ho potuto vedere.
L’incontro con l’artista messicano Ricardo Motilla Moreno sembra essere stato determinante per lo studio e la lavorazione dell’alluminio, da cui è scaturita l’opera Acqua (2017), che ha ricevuto una menzione speciale dalla Giuria del Premio COMEL: “Lorenzo Galligani, con un pregevole utilizzo del metallo fuso, recupera la suggestione della scultura classica all’interno di un contesto fortemente allusivo in chiave concettuale. L’opera presenta infatti una singolare tensione segnaletica, alludendo forse ad un rispecchiamento psicologico, espresso simbolicamente in uno spazio naturalistico.” (Giorgio Agnisola)
Ricardo è una di quelle persone che danno senza che tu chieda, un vero amico e un grande artista.
Il critico d’arte Giorgio Agnisola ha anche detto dell’opera: “[…] l’indice puntato della mano evoca il contatto primitivo di Adamo con la scintilla divina della creazione. In questa ambigua allusione sembra di leggere il richiamo, complice la lucentezza del metallo, al principio generatore e naturale della vita.” Creare arte è una connessione spirituale continua?
Quando riesce sì, durante il cammino è più che altro passione e dubbi da sciogliere.
Dopo anni di esperienza come insegnante di scultura, nel 2013 diventa Direttore dell’Accademia Galligani, una scuola che è un importante punto di riferimento a Firenze per tutti coloro che vogliano apprendere le tecniche tradizionali della lavorazione del marmo. Cosa incoraggia la decisione di creare questo spazio ideale per i futuri artisti?
È importante sapere, quando si sente la necessità di esprimersi, che non si è soli, che si può dialogare e creare un proprio linguaggio confrontandosi con la storia e con le persone che condividono con noi il presente.
Nella presentazione dedicata all’Accademia, spiega che le tecniche manuali insegnate (con l’uso di mazzuolo e scalpelli), consentono agli allievi un’espressione più completa e una migliore consapevolezza nella progettualità. Vengono impiegate la pietra serena (arenaria tipica del comprensorio toscano) e il marmo di Carrara. Il metodo tradizionale vince la tecnologia? O state cercando una sintesi?
Attraverso le tecniche classiche si può far comprendere meglio quali sono le possibilità per raggiungere quanto si vuole ottenere, questo perché il lavoro manuale richiede attenzione, ottimizzazione dei tempi e delle energie, conoscenza del linguaggio e dei materiali. Così si può mostrare una panoramica di tutto il percorso. Il fattore tempo, che ha probabilmente spinto a inventare nuove soluzioni tecnologiche per ridurlo insieme alla fatica, non è in fase di apprendimento un nemico, e forse non lo è mai quando si crea.
Ad esempio, una volta imparato l’alfabeto e a leggere e scrivere, si fa poesia, e una volta che si è imparato a leggere e scrivere musica si compone. Chi conosce abbastanza bene entrambe magari fa anche il cantautore. Ci vuole tempo per conoscersi e capire ciò di cui si ha bisogno, delegare alla tecnologia ha senso quando si conosce l’intero percorso creativo dell’opera.
Pietra, legno, marmo e anche alluminio, costituiscono gli elementi delle sue creazioni. Qual è il rapporto con ciascuno di questi materiali? E cosa le piace raffigurare?
Scelgo il materiale che più mi permette di avvicinarmi a quello che mi interessa dire, dato che ognuno porta con sé vantaggi e limitazioni. Il marmo comunque è il primo amore. Adesso in particolar modo sto lavorando con resine, sono divertenti per sperimentare. Un esempio: DeaRh, quel che resta dell’assenza (il titolo suggerisce due letture dear/death) serie composta da due sculture, spighe di grano, resina, 2018.
Dal Colosseo alla Basilica di S. Croce a Firenze, sono diversi i restauri di opere e strutture notevoli in cui ha portato il suo contributo. Di quale opera conserva il ricordo del restauro più coinvolgente e perché?
Ogni cantiere ha avuto il suo fascino, devo dire che il Colosseo, anche solo per il fatto che ho dovuto trasferirmi a Roma per un periodo, è stato importante. In più essendo stato quel cantiere un progetto pilota, ha dato modo di sviluppare soluzioni interessanti e innovative.