Intervista a Luce Delhove
di Rosa Manauzzi
Luce Delhove (Uccle, 1952) è un’artista di origine belga. Designer, incisore, pittrice, scultrice e fotografa vive e lavora a Milano, dove è titolare della cattedra di Grafica presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
Dopo aver trascorso l’infanzia in Africa e in Belgio, nel 1960 si trasferisce definitivamente in Italia. Si forma a Milano frequentando l’Istituto Politecnico di Design, dove conosce, tra gli altri, Bruno Munari, Guido Ballo e Attilio Marcolli.
Successivamente si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma, città nella quale realizza la prima personale (Galleria Mondrian, 1979). Nel 1980 inizia a collaborare con la casa editrice Belvedere, illustrando alcuni libri e, l’anno seguente, è socio fondatore dell’Associazione Culturale Tekhne di Roma. Nel 1885, grazie alla rassegna Dodicimenotrentacinqueprimo: Giovani Artisti a Roma, le sue opere si impongono all’attenzione di galleristi, critici e collezionisti. Nel 1992 diviene titolare della cattedra di Tecniche dell’Incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Torino e, a seguire, di Venezia (1993) e di Milano (1994). Negli anni successivi si dedica alla scultura, utilizzando cellulosa e materiali tessili. Inoltre realizza gioielli in ardesia, argento e bronzo ispirati alle sue opere. Nel 2005, ottiene un’importante segnalazione di Gillo Dorfles alla Biennale delle Arti Applicate AD ARTE. In questo periodo l’artista collabora con alcuni poeti per la realizzazione di libri a tiratura limitata e cartelle con incisioni.
Dal 2009 l’artista soggiorna ogni anno a Parigi, conosce la gallerista Naila de Monbrison ed espone i gioielli-sculture in una mostra personale dal titolo “Ardoises…”. Espone “Il cavaliere del Secchio” opera ispirata ad una novella di Kafka in due mostre una a Orléans e l’altra a Città del Messico.
Sono centinaia le mostre che la vedono impegnata a livello internazionale e le sue opere sono presenti in collezioni, musei e gallerie sia in Europa sia in altri continenti.
Leggere la tua biografia è come leggere un libro fatto di pagine di diversi materiali. Non c’è una divisione netta in fasi, in periodi, piuttosto la scoperta epifanica di un materiale da un certo punto in poi. E quel materiale si alternerà o unirà ad altri nuovi, costruendo nuove trame artistiche. Così nel tuo libro sfogliamo ora la carta, ora il rame, ora l’alluminio, ora la tela, ora la natura… Tutto diviene vissuto e artisticamente reso. Come e quando è iniziato il viaggio artistico?
La mia vocazione artistica è innata. Durante la mia infanzia ho sviluppato la percezione e la memoria degli spazi dilatati, prima in Africa, poi in Italia, nei campi arati dell’Umbria, nelle terre umbre e senesi e nei numerosi viaggi in Europa e negli Stati uniti.
Africa, Belgio e la formazione artistica in l’Italia, fino all’insegnamento in Accademia. Un itinerario che sicuramente ha lasciato dentro di te ricordi associati a colori diversi. Come, e se, ti sei ritrovata ad assemblare esperienze di vita tanto diverse?
Ho assemblato esperienze di vita diverse, trovando in esse dei fili conduttori comuni, come i segni, le trame, la luce e gli spazi. Nel 1986 incontrai Gabrielle Belgeonne, artista e docente a l’Ecole supérieure des arts visuels de La Cambre a Bruxelles. Notò come nel mio lavoro ci fosse una forte impronta nordica, mi disse “sembra che tu abbia studiato in questa Scuola”.
L’attività d’illustratrice per le case editrici inizia subito dopo la prima personale a Roma, nel 1979. Nel tempo l’illustrazione è diventata incisione, simbiosi con l’arte poetica, portando alla creazione di edizioni preziose in tiratura limitata. Si è trattato di binari paralleli o vere e proprie intersezioni di linguaggi con i poeti con cui ha creato?
L’incisione per me ha un linguaggio autonomo, che ho sviluppato secondo la mia poetica. Alcuni scrittori hanno interpretato con scritti e poesia il mio lavoro. Ma, in altre situazioni, ho cercato e trovato attinenze in alcuni scrittori e poeti.
Omaggio a Jean Robin
La ricerca della luce sembra permeare il tuo lavoro da sempre. Inizialmente nello spazio bidimensionale dell’incisione, e anche nel disegno e nella pittura, poi si è insinuata nello spazio tridimensionale della scultura e dell’installazione. Cosa rappresenta per te questa ricerca?
La ricerca della luce rappresenta la luce delle mie creazioni, ma anche la vita in assoluto.
La palma è un albero su cui ti sei soffermata particolarmente, studiandone tutte le parti. Fibre, foglie, semi, sono diventati elementi di frottage, linee e pieghe della carta impreziosita dei tuoi movimenti. Una lavorazione apparentemente fragile che invece ha una forte volontà narrativa dietro. Effimera forse per la facilità del materiale naturale di deteriorarsi, ma solida nel rapporto con la terra (le radici) e il cielo (la chioma dell’albero) che con l’arte hai voluto immortalare e far respirare.
Sicuramente mi sono soffermata in particolare sulle palme, lavoro che ho iniziato durante un viaggio a Hyères les palmiers in Francia nel 2006, visitando i numerosi giardini, e prendendo spunto in particolare dalle fibre che si trovano sotto le cortecce. Ricerca che ho in seguito terminato alla fondazione Bogliasco a Genova, dove ho soggiornato per un mese, realizzando carte verticali, come grandi e sontuosi Kagemono.
Negli ultimi anni il ferro, il rame e l’alluminio di oggetti di riciclo. Cosa ha fatto scattare questo nuovo amore? La possibilità di dare vita infinita a un oggetto destinato alla distruzione forse? In alcuni casi li rendi anche mobili, conferendo loro un movimento che non avevano in origine.
Dal 2002, incominciai a sperimentare nuovi materiali, fibre tessili e carta pesta per realizzare delle sculture. Andai nelle discariche per trovare nuove forme adatte alle mie ricerche. Ma in seguito la mia attenzione si soffermò su un radiatore. Il colore argento dell’alluminio, le sue finissime lamelle, e in particolare alcune ammaccature mi hanno suggerito di lavorare sulla deformazione della superficie rendendole superfici lucenti. Riproponendo così la mia ricerca sulle trame e la luce. Qui, la luce, misurata nei suoi infiniti riflessi, interviene nella definizione plastica della scultura. Durante la lavorazione dell’opera sono rimasta colpita dai suoni prodotti picchiando ripetutamente sulla superficie metallica. Suoni che, in quanto scaturiti dal materiale manipolato, potevano diventare essi stessi componenti del progetto artistico. Di conseguenza ho coinvolto la compositrice Caterina Calderoni nell’elaborazione definitiva del mio progetto, la quale ha composto una partitura intitolata “Les stries du silence”, registrando i suoni di strumenti vari e musicali sulla superfice delle opere della serie “Raminie”.
“Raminia 12” è un’opera del 2012. Ha vinto la V edizione del Premio COMEL. Il tema del premio era la luce (“Lucente alluminio”). Si è trattato, nel tuo caso, di immettere luce nell’oggetto o di far parlare la luce custodita al tuo interno? Ci puoi spiegare che tipo di lavorazione ha subito il radiatore iniziale?
In Raminia 12 ho voluto immettere la luce nella scultura, deformando le lamelle di alluminio, rigorosamente allineate, creando una texture con un volume più intenso e una lucentezza maggiore.
Per lavorare le lamelle ho utilizzato, la mia attrezzatura che adopero nella grafica per incidere le lastre di zinco e di rame come i punzoni e le rotelle, nella scultura per scolpire la pietra, gli scalpelli, le mazze e oggetti di uso quotidiano, come la forchetta, il coltello e il cucchiaio e tanti altri strumenti come spatole di ferro, cacciaviti e altri strumenti ancora.
Storie di carta
Il Medioevo è un’epoca che sembra averti affascinato parecchio, tanto da dedicarvi una mostra di sculture, di fatto una ricognizione della plasticità della tua arte e indubbiamente anche lo svelamento della luce, al di là del pregiudizio dei secoli bui (ora la storia ce li restituisce come tempi pieni di fermento ed estremi opposti e in qualche modo tempi non più fortemente chiusi in un periodo storico ma che trovano similitudini in altre epoche). Poi c’è la serie “Negare per affermare”. Ciò che è può essere qualcos’altro. Da artista contemporanea sfidi e ti affidi a tecniche e tempi storici diversi. Sembra quasi che tu voglia suggerire che il tempo è solo l’intervallo che noi scegliamo che sia, una illusione, una lettura, un nostro modo di osservare le cose.
In effetti la mostra è stata intitolata, “Sculture senza tempo”. Il titolo “Negare per affermare”, si riferisce alla serie di pastelli e incisioni, realizzati nel 1993. Qui ho lavorato sulle trame, cancellando con il brunitoio (gomma dell’incisore) i segni incisi, per affermare l’esistenza di una luce filtrata.
Una delle tue mostre si è intitolata “Ars Liquida”. L’acqua l’elemento prescelto, e l’Adda il fiume ispiratore, insieme agli studi di Leonardo Da Vinci a cui ti sei a lungo dedicata. Hai utilizzato una tecnica antica giapponese per lavorare la carta e assecondato il potere trasformatore dell’acqua: il colore messo in una bacinella si appropria del foglio vlieseline marmorizzandolo. Scultura e opera liquida, antico e contemporaneo, non sono opposti nella tua arte ma complementari necessari l’uno all’altro. E poi c’è anche la storia del territorio intorno al fiume, la storia delle donne che tanto ti sta a cuore. Vuoi raccontarcela?
La storia è iniziata, quattro anni fa. Incominciai a percorrere il fiume a seguito di una riabilitazione. La storia di quel territorio è affascinante per via del corso del fiume, che parte dalla Valtellina e sfocia nel Po, passando da Paderno d’Adda fino a Trezzo d’Adda, territorio dove Leonardo da Vinci progettò il sistema delle chiuse e s’inspirò alle rocce del fiume per realizzare il dipinto “La vergine delle rocce”. Lungo il fiume, c’erano tante filande, dove lavoravano soprattutto le donne con il baco di seta, sempre con le mani immerse nell’acqua. Ho prodotto un corpo importante di opere dedicate al fiume che scorre e il suo habitat. Alcune grandi carte realizzate con la marmorizzazione, disegnate e dipinte, opere esposte nelle mie installazioni, lungo il fiume.
I tuoi gioielli somigliano a creature di altri tempi, o forse di altri luoghi perché veicolano la memoria di tutto ciò che hai attraversato, divenendo essi stessi spazi e tempi, frammenti e completezza, forme e sostanza. Forse la rappresentazione più peculiare del tuo danzare continuamente tra spazio e tempo.
Gioielli pensati come sculture da indossare. Incominciai quest’avventura dopo due stages in valle Argentina, in Liguria dove incomincia a sperimentare l’ardesia. I primi gioielli furono realizzati in sottili lastre di ardesia, levigate e traforate per ottenere delle piccole sculture. Da questa esperienza in poi, tutti i miei gioielli sono stati sempre in stretta relazione con le mie opere. La ricerca sulle trame, le forme e i materiali, tutto legato alla scoperta di nuovi luoghi e immagini.
Insegnare l’arte a studenti di Accademia è senz’altro un lavoro stimolante, rivolto a persone già molto motivate. Non sarebbe utile se le accademie d’arte trovassero il modo di entrare anche nelle scuole di grado inferiore per meglio sensibilizzare all’arte ai più giovani? Si avverte un gap tra arte e società in generale.
Accogliamo moltissimi ragazzi, i giorni dell’open day, dandogli informazione e anche la possibilità di visitare l’Accademia di Belle Arti di Brera e i nostri laboratori. Puntualmente ogni anno un mio ex allievo, docente al Liceo artistico, porta i suoi allievi in visita nel mio laboratorio di grafica dell’Accademia. Certo, informare i giovani è fondamentale.