Intervista a Lucio Perna
di Rosa Manauzzi
Originario di Palmi (RC), Lucio Perna arriva a Milano negli anni ’60, dove ha luogo la sua formazione d’artista tra corsi di perfezionamento e importanti incontri con gli artisti del momento. La sua ricerca, dall’ambito del simbolico, si spinge ad esperienze che superano le etichette di astrazione e informale. Perna è il promotore in Italia del movimento ‘Geografia Emozionale’ nato in America agli inizi del nuovo secolo.
Qual è la tua formazione artistica e quale incontro ti ha più influenzato?
Sono giunto a Milano dal profondo Sud (nativo di Palmi, RC) molto giovane, alla fine degli anni ’70, con una grande passione per l’arte ma senza alcuna formazione accademica. Ho avuto però la fortuna di essere introdotto al “Circolo Perini” dove ho conosciuto tre importanti rappresentanti del mondo artistico milanese: Ernesto Treccani, Remo Brindisi ed Aligi Sassu. Di quest’ultimo sono stato assistente per un certo periodo e da lui ho appreso fondamentali nozioni sulla tecnica del colore – insegnamento di un corso presso l’Accademia di Brera.
Prima di approdare all’arte contemporanea qual è stato il tuo rapporto con l’arte classica e perché hai cercato di elaborare nuovi piani fisici e metaforici?
La mia formazione culturale è stata di tipo classico e quindi la storia dell’arte, come materia di studio, mi ha fornito una prima visione che negli anni ho approfondito per la curiosità alimentata dal mio interesse per l’arte in generale. Come molti miei colleghi sono partito da una sorta di figurazione (anni ‘70, ‘80) di tipo espressionista che dopo ho definitivamente abbandonato perché conquistato dal linguaggio artistico di personaggi più emblematici e complessi. Venivo scoprendo infatti il lavoro di Burri, di Piero Manzoni, di Crippa, di Boetti, oltre che degli astrattisti storici , primo fra tutti Mondrian e la sua formidabile geometria . Mi è stato così chiaro che la rappresentazione di un concetto non richiede necessariamente una forma nota, ma sia più efficace e libera attraverso l’impiego di elementi simbolici ed astratti.
Che importanza dai al colore e al materiale nel creare la tua opera.
Materiali e colori sono solo elementi complementari che servono, di volta in volta, per esprimere idee. Sono strumenti esecutivi dai quali non è possibile prescindere, che talvolta finiscono con l’apparire, purtroppo, più decorativi che di sostanza. Forse l’opera d’arte ideale dovrebbe poter fare a meno di ogni forma di decorazione ed affidarsi unicamente al segno e all’equilibrio della composizione.
Qual è il tuo materiale d’elezione e cosa ha rappresentato misurarti con l’alluminio in occasione del Premio internazionale Comel Vanna Migliorin 2014?
Il mio materiale di elezione è la carta in ogni sua forma e consistenza ma posso utilizzare qualsiasi altro materiale. La sfida o forse lo sforzo estetico è di non rendere immediatamente riconoscibile il materiale col quale realizzo le mie composizioni per privilegiare la comunicazione dell’idea che intendo affidate al mio lavoro. Tratto la carta come fosse metallo, il metallo o il legno come fosse carta. Misurarmi con l’alluminio è stato intrigante ma l’opera realizzata per il Premio Comel non è stata la mia prima esperienza con questo materiale, anche se non mi sento di definirmi uno scultore. Io faccio e voglio continuare a fare pittura e, come dicevo, i materiali ai quali ricorro sono strumenti.
Confini Oscuri
Entrare nella definizione di ‘Geografia emozionale’ è stato motivo di chiusura o di apertura verso espressioni più lontane e sfide più grandi?
Sono stato promotore in Italia del movimento “Geografia Emozionale” applicato alla pittura.
Dopo un incontro con Giuliana Bruno, in occasione della presentazione a Milano del suo Atlante delle Emozioni, ( testo scritto in inglese dall’autrice e poi tradotto ), mi sono reso conto che quanto la Bruno aveva elaborato per le arti visive in generale e per il cinema in particolare, coincideva perfettamente con le idee che da parecchio tempo io stesso tentavo di mettere in ordine e che, fino a quel momento, erano rimaste ancora in nuce.
Come era successo a Giuliana, il desiderio della scoperta e la ricerca di emotion in motion mi avevano portato per molto tempo a viaggiare, soprattutto nei paesi del nord Africa e a percorrere il deserto sahariano che è stato fonte di grande ispirazione.
Un lungo percorso del mio lavoro è infatti alimentato e dedicato ai “deserti”, non tanto come luogo fisico ma prevalentemente emozionale. Anche la mia attuale ricerca gravita intorno alla personalissima geografia che, ritengo, ognuno si crea da solo. Sono nati così i miei lavori e la mia ricerca dal titolo “Bidonville” e la più recente dal titolo “Confini”.
Un commento sullo stato dell’arte contemporanea in Italia in questo momento
Un commento sullo stato dell’arte contemporanea richiederebbe un trattato…!
Mi limiterò a dire che non condivido lo scetticismo di cui sembrano essere pervasi la maggior parte dei critici d’arte contemporanea. Non ritengo che la definizione di “individualista”, con la quale l’arte contemporanea e gli artisti che ne fanno parte, viene tacciata, corrisponda ad un concetto negativo, come quegli stessi critici tentano di farla apparire quando parlano di “arte fai da te”, nella quale prevarrebbe solo opportunismo e utilitarismo.
L’individualismo è lo stereotipo del nostro tempo e l’arte precorre sempre i tempi.
Oggi, per effetto delle nuove tecnologie (pensiamo al computer) l’uomo e non solo l’artista, è più solo, o meglio, vive maggiore solitudine perché la macchina finisce per essere l’interlocutore privilegiato di ciascuno di noi.
Col computer svolgiamo, da soli, gran parte delle attività che in passato richiedevano comunicazione fra persone e quindi contatti interpersonali. Ad esempio, non serve più andare in banca per la maggior parte delle operazioni che eseguiamo in via telematica. E’ possibile acquistare qualsiasi cosa senza la necessità di recarsi nei negozi; dialoghiamo sempre più spesso via mail o sms.
L’opportunità e la necessità del dialogo sono state soppiantate dalla facile possibilità di trovare risposte rapide dal web. L’artista vive e percepisce questa solitudine come essenza del suo stesso linguaggio.
L’associativismo, anche in arte, ha finito per essere anacronistico e gli artisti lo hanno avvertito con anticipo ed espresso nel loro lavoro da solitari.
Quella che appare o viene descritta come “confusione” nella molteplicità dei linguaggi artistici altro non è che il frutto della globalizzazione e della grande velocità con la quale circolano le informazioni . E’ un altro aspetto reale e rilevante della nostra contemporaneità.
Non mi sentirei quindi di affermare o condividere l’opinione che l’arte contemporanea oggi abbia meno valore e meno pregnanza dell’arte nata dai movimenti storici del passato secolo.
E poi chi ha detto che le idee scaturiscono solo dai movimenti collettivi e che il gruppo ha più valenza del singolo nell’elaborazione dei concetti?
La storia dell’arte è piena di esempi di artisti che senza appartenere ad alcun movimento hanno contribuito prepotentemente al processo di conoscenza che è poi il fondamento dell’estetica e dell’arte. Pensiamo a Modigliani, a Moore a Bacon.
Città Surrogata
Ti interessa più un discorso di progetto d’arte a lungo termine o riuscire a creare un’opera unica che possa rappresentarti e allo stesso tempo avere il plauso del pubblico?
L’opera unica non potrebbe contenere o sviluppare, a mio avviso, un completo processo di conoscenza.
Il lavoro dell’artista ha bisogno di evolversi nel tempo e nello spazio secondo le mutevolezze di queste dimensioni. Quindi anche se non fosse possibile realizzare un progetto unico il percorso che ciascun artista elabora nel corso della propria carriera è essenziale per la sua stessa crescita e per la funzione dell’arte che pratica. Questo vale per ogni artista, pittore, scultore, cineasta, musicista, scrittore, architetto ecc..
Sirene, maschere e miraggi sono i temi sui quali hai lavorato per diversi anni. Tutti e tre sono caratterizzati idealmente da evanescenza e sogno. Consideri l’arte una fuga dalla realtà o dietro figurazioni fantasiose la realtà trova modo di affermarsi con più forza?
A questa domanda rispondo con una definizione che riporto – non per sfoggio ma- perché corrisponde alla ragione per la quale personalmente faccio arte.
L’arte è allo stesso tempo luogo e strumento di libertà intellettuale.
Nessuna fuga quindi ma al contrario la voglia e la necessità di stare da uomo libero nella realtà del quotidiano, di tentare di individuare e segnalare, col mio modesto linguaggio, i problemi piccoli o grandi della società alla quale appartengo.
Dove vorresti organizzare la tua mostra ideale e perché?
Nel mio studio-laboratorio dove dimora quasi tutta la mia produzione e dove ci stanno al più due persone per volta.