Intervista a Paolo Pompei
di Ilaria Ferri
Paolo Pompei è scultore, pittore materico e fotografo. Nasce a Pietrarubbia nel Montefeltro e questo influenza fortemente non solo la sua carriera ma anche il modo stesso di vivere la scultura. La sua curiosità sui materiali lo porta prima a sperimentare la ceramica sotto la guida di Orazio Bindelli e poi i metalli seguendo un corso al centro T.A.M. (Trattamento Artistico dei Metalli) a Pietrarubbia, diretto da Arnaldo Pomodoro.
Dopo i primi passi nel figurativo, dai primi anni ’80 i suoi lavori diventano astratti, informali, minimali geometrici e primitivi materici. Sperimentando sempre nuovi materiali (metalli, pietra, ceramica, plastiche), è alla continua ricerca di equilibrio e armonia delle forme. Le sue opere diventano oggetti atemporali, vere e proprie presenze totemiche che entrano in diretto contatto con l’osservatore invitandolo a riflettere e a porsi domande.
Negli anni partecipa a diversi concorsi artistici, espone in circa centro esposizioni tra personali e collettive, tiene corsi sulle tecniche di fusione dei metalli e partecipa a simposi di scultura Internazionali: nel nord della Russia, in Ucraina, India, Germania, Ungheria, Austria, Slovacchia, Finlandia e in diverse parti di Italia. Dal 2012 insegna come docente di scultura al centro T.A.M. e tiene corsi di scultura sensoriale. Molti dei suoi lavori fanno parte di collezioni pubbliche.
Nella sua biografia si legge che proviene dal Montefeltro, dove vive e lavora. Qui si è formato presso il Centro di Trattamento Artistico dei Metalli (TAM) diretto da Arnaldo Pomodoro, dove oggi è insegnante a sua volta. Quanto è stato importante il territorio e le sue peculiarità nel suo percorso artistico?
Il Montefeltro è la terra dove sono nato e cresciuto, che ha ispirato i grandi maestri del Rinascimento, da Piero della Francesca a Raffaello, nato ad Urbino, fino a Leonardo da Vinci. All’inizio, quando ero giovane, ho sentito il desiderio di scappare da questa terra, che mi sembrava troppo piccola per me che invece volevo scoprire il mondo, ma è solo poi tornando che mi sono reso conto che il mondo che cercavo era già qui. Il silenzio di questa terra mi ha permesso di immergermi appieno nella natura e nella mia spiritualità per poter capire chi sono e poter esplorare il legame profondo che mi unisce alle mie radici. Questo ritorno alle mie origini è stato come una riscoperta della semplicità, della vita: le mie opere sono spesso caratterizzate da colori che rimandano alla natura della mia terra e da forme pure ed essenziali che, come la natura e il silenzio della mia terra, invitano alla riflessione, alla ricerca interiore.
Il critico Lucio Del Gobbo riferendosi ai suoi lavori afferma “Le sue composizioni polimateriche, a prescindere da ogni regola estrinseca, esistono come oggetto atemporale, evocano forme arcaiche, reperti di chissà quale civiltà, precolombiana o della Mesopotamia …” e lo stesso la critica Gabriella Niero “Nel silenzio, i grandi tronchi dipinti d’azzurro evocano riti lontani nel tempo insieme a piramidi in metallo spaccate da una fessura centrale, pannelli lignei dalle inquietanti combustioni, sculture ed installazioni che agiscono in sintonia con la realtà contemporanea ma aderiscono anche alle oscure pulsioni della storia”. Dunque contemporaneità e Storia, moderno e arcaico. Secondo lei l’Arte è un modo per raccontare l’Uomo, la sua essenza primigenia che, nonostante il passare dei secoli, è sempre uguale a sé stessa e allo stesso tempo in continuo movimento?
L’Arte appartiene all’Uomo e viceversa. L’Arte può essere uno strumento attraverso cui raccontare e dare vita all’essenza, alla spiritualità e all’interiorità dell’Uomo. Lemie opere, infatti, caratterizzate da forme pure e geometriche, sono dei segni, dei simboli, nel significato proprio del termine di mettere insieme due parti distinte: la fisicità e la parte visiva dell’opera, con quella invece interiore e spirituale, anche grazie alla materia che per me, insieme alla forma, è il mezzo attraverso cui raccontare l’Uomo. L’Arte da sempre ha rappresentato quindi un contenitore di spiritualità, di significato e di senso che ha permesso e ancora permette alle persone di riflettere, di guardarsi dentro, di pertanto vedere oltre la fisicità dell’opera per comunicare con la parte più interiore e scoprire il mondo e la propria spiritualità.
Divenire, Biennale di Soncino (BS, Italia), 2019
Ha approfondito la sua conoscenza sull’antropologia del metallo, insieme agli studi sulle arti primitive, cosa l’ha condotta per questa strada? Quanto questi studi hanno influenzato la sua ricerca artistica? Oltre al legno, i metalli sono i materiali che sicuramente utilizza di più, cosa significa per lei plasmare un metallo? E dell’alluminio cosa ci può dire? Quando lo ha scoperto? Come sceglie il tipo di metallo da utilizzare in ciascuna opera?
Da sempre sono stato affascinato dai materiali, per la loro capacità di poter essere plasmati e diventare quindi loro stessi opera. Il metallo è uno dei materiali che più mi affascina e la sua lavorazione è qualcosa di primordiale e antico, che ha sempre accompagnato la storia dell’Uomo, e, quindi, in qualche modo insito dentro di noi. La ricerca all’arte primitiva e pertanto anche alletecniche di lavorazione, tra cui quella del metallo, ha rappresentato per me un ritorno alle origini dell’Uomo, alla scoperta dell’identità umana, che mi hanno permesso di conoscere l’essenza e la spiritualità, portandomi alla definizione di un segno più sintetico e di forme pure, dense però di significato.
Il metallo è un materiale in grado di contenere un’energia misteriosa e viva perché in continuo cambiamento di stato e di forma: plasmarlo mi permette di indagare dentro di me, di farmi domande per tirare fuori ciò che è già dentro in realtà alla materia, ma che solo tramite la lavorazione può uscire fuori. Il metallo per me è trasformazione: capacità di formare altro, nel profondo e dentro di noi, di dare forma a quello che sentiamo.
L’alluminio è un metallo piuttosto contemporaneo, di cui si fa largo uso, molto leggero tanto che viene impiegato anche nell’industria aeronautica, quindi utilizzato dall’uomo per esaudire uno dei suoi più grandi sogni che ha da sempre: volare. Per me è un materiale meraviglioso, che ho utilizzato molto negli anni per le mie opere d’arte: è un materiale nobile, divino, perché si relaziona continuamente con la Luce. Una delle sue maggiori qualità infatti è quella di riflettere la luce, di farla brillare ed esaltare e, allo stesso tempo, è un materiale cangiante, quindi capace di cambiare esso stesso la finitura cromatica con il variare dell’incidenza della luce e per questo viene utilizzato, insieme all’oro e all’argento, nelle arti sacre per rappresentare il Divino.
L’alluminio, dunque per me, rappresenta un mezzo attraverso cui esprimere la spiritualità dell’Uomo e la ricerca interiore anche per la sua capacità, se opportunamente lucidato, di diventare superficie specchiante: diventa quindi materia nella quale riflettersi, per vedersi, conoscersi meglio, capirsi ed indagare dentro di sé.
“Per Pompei, l’importante non è il messaggio immediato, ma il metodo, l’esecuzione dell’opera, il gesto che si fa materia e la contrapposizione di spazi vuoti con i pieni, di tensioni orizzontali e verticali …” afferma la critica e storica dell’arte Jacqueline Ceresoli. Secondo lei il gesto, proseguendo la tradizione di molte avanguardie del ‘900, è davvero più importante dell’opera stessa? Le sue opere in realtà offrono significati ben definiti, comunicano un’idea molto chiara e la materia ha un posto di primo piano nei suoi lavori
Il gesto è qualcosa che si compie, è la manifestazione fisica e tangibile di un pensiero interiore che si manifesta quindi esteriormente. È un movimento che vuole indurre tanto chi lo produce quanto chi lo vede ad indagare nel profondo di sé, alla scoperta di un mondo interiore che già c’è ma deve essere solo esplorato. Per questo le mie opere sono minimali, essenziali e geometriche. Sono forme pure che invitano al silenzio e alla meditazione, dove la componente materica è forte e diventa essa stessa opera, ma anche gesto e movimento: non è solo un mezzo rappresentativo, ma vuole uscire dalla forma, per rivelare in modo tangibile ciò che ha dentro. L’opera quindi è fatta di forma e materia volte a sprigionare vita, energia e spiritualità.
Installazione artistica esterna, Incheba Expo Bratislava (Slovacchia), 2006
Si definisce scultore, pittore materico e fotografo. Tre aspetti diversi del suo universo artistico, come sceglie quale utilizzare? Come si sviluppa il suo processo creativo?
La scultura, come la pittura materica e la fotografia, sono per me dei mezzi attraverso cui esprimere un sentire interiore, un pensiero e una meditazione. Sono diversi solo per quello che può essere il risultato fisico e tangibile, ma frutto sempre di un’idea, nel senso etimologico di vedere, sapere e conoscere. Ed è questo l’intento delle mie opere: quello di permettere alle persone di pensare, di andare al di là di ciò che si vede. Il mio è un lavoro interiore, ma anche esteriore, che poi elaboro in una forma, esternando quindi le mie emozioni, ciò che sento e vivo dentro. L’opera è pertanto una forma, un’essenza, una rappresentazione che viene dal sentire profondo, dalla ricerca del sé.
Lei viaggia molto e spesso lo fa per partecipare a simposi e convegni in tutto il mondo. Quanto è importante per lei e per il suo modo di fare Arte confrontarsi con altri artisti e condividere il suo percorso, il suo sapere e le sue scoperte?
Ho potuto viaggiare molto per simposi e convegni e conoscere persone ed artisti provenienti da tutto il mondo e con loro confrontarmi e parlare non solo di Arte, ma anche di Vita e Uomo. È qualcosa che ti arricchisce ogni volta, che ti permette di scavare dentro e scoprire che c’è sempre qualcosa in comune, che appartiene all’identità stessa dell’essere umano, ad un archetipo. Il confronto è utile e importante per una ricerca personale e spirituale e per scoprire come alla fine, anche se apparentemente siamo diversi da chi vive dall’altra parte del mondo, apparteniamo tutti alla stessa Natura.
Umus, Meano (BS, Italia), 2016
Tra le varie attività, tiene anche dei corsi di scultura sensoriale, di che si tratta?
La scultura sensoriale è un viaggio interiore in quanto è un momento creativo libero, che indaga dentro. Si tratta di un processo in cui, bendando me o chi partecipa ai miei corsi, realizzo opere d’arte solo basandomi sul sentire interiore perché, senza l’uso della vista, che si riferisce al mondo esteriore e dunque razionale, mi lascio andare, attivando il mio occhio interiore che altro non è che l’immaginazione, intesa come capacità di creare immagini vere e autentiche che appartengono al nostro essere. È l’immaginazione che guida poi il tatto per dare vita alla materia: il tatto, dopo la vista, è il senso più importante per realizzare opere d’arte e quindi le mani, toccando i materiali, riescono a percepire la realtà e creano forme nuove, frutto dell’indagine interiore e dell’immaginazione. Ed è così che si scopre qualcosa che ci appartiene, qualcosa che alla fine definisce la nostra vera essenza ed identità, che è già dentro di noi e che esce solo nel momento in cui ci spogliamo della realtà fisica.
Ha partecipato all’ottava edizione del Premio COMEL Legami in Alluminio con l’opera Globalizzazione, una splendida fusione in alluminio che propone una idea particolare del tema proposto, che fonde un argomento di grande attualità con un velato invito a preservare non solo il nostro pianeta, ma la nostra umanità. Come è nata l’idea di questa opera e quella di presentarla al concorso?
Una sfera in alluminio cangiante, come un centro vivo e pieno di energia, costituita da tante parti diverse tra loro ma allo stesso tempo capaci di incastrarsi l’una con l’altra e tenute insieme da un’anima interiore che è quella che lega tutti i popoli, che alla fine non è nient’altro che l’Universo stesso a cui apparteniamo. Tanti elementi diversi come siamo noi essere umani, che però siamo tutti ospiti su questa Terra meravigliosa. E quindi in un momento storico come questo dove la globalizzazione è intesa come un fenomeno di standardizzazione economica, culturale, sociologica e antropologica, il mio è un invito a riflettere su una Globalizzazione dove ognuno, con la propria diversità da preservare, possa scoprire il proprio mondo unico, vero ed interiore e possa costruire un legame con gli altri per rispettare non solo la Natura ma l’Umanità stessa.